da Dott. Marco Sozzi | Nov 17, 2017 | uncategorized
La maggior parte delle donne in gravidanza soffre di problemi di salute orale, ma il 43% di esse non esegue controlli dal dentista.
A rilevarlo è un sondaggio ” Health Smiles For Mom And Baby” che ha studiato le condizioni di salute orali nelle gestanti americane.
I cambiamenti ormonali durante la gravidanza tendono peggiorare le condizioni di salute orale come le gengiviti e la malattia parodontale.
L’indagine mette in evidenza lo stretto legame tra salute orale e benessere generale, prima, durante e dopo la gravidanza. Le infezioni in questo periodo, comprese carie e malattia parodontale, possono incidere sulla salute del bambino.
da Dott. Marco Sozzi | Ott 18, 2017 | Tutti gli articoli, uncategorized
Ecco alcuni dei problemi di allineamento che possono essere trattati.
Affollamento dentale: lo spazio disponibile nell’arcata non è sufficiente per alloggiare tutti i denti in modo adeguato.
Denti con spaziatura eccessiva: l’arcata dispone di spazio in eccesso.
Morso crociato: le arcate superiore e inferiore sono disallineate. Generalmente, uno o più denti superiori mordono nella parte interna dei denti inferiori e questo può verificarsi nella parte anteriore e/o sui lati.
Morso profondo: i denti superiori si sovrappongono in modo significativo sui denti inferiori.
Morso inverso: i denti inferiori sporgono oltre i denti anteriori, generalmente a causa del sottosviluppo dell’arcata superiore o del sovrasviluppo dell’arcata inferiore, o di entrambe le situazioni.
da Dott. Marco Sozzi | Feb 27, 2013 | Tutti gli articoli, uncategorized
La carie è un processo di distruzione dei tessuti duri del dente (smalto e dentina) provocato da batteri. Tale processo si estende in profondità partendo dalla superficie con progressiva demineralizzazione e successiva dissoluzione del dente. La carie deve essere distinta da altre affezioni degenerative dei denti che non avvengono su base infettiva quali l’erosione, l’abrasione, l’usura e la decalcificazione che pure sono caratterizzate dallo stesso fenomeno di demineralizzazione progressiva.
Le varie statistiche riferiscono un’ incidenza intorno al 90% della popolazione. L’età giovanile è decisamente quella più colpita.
In condizioni normali, fra i singoli denti appaiono, più soggetti al processo carioso in ordine decrescente, i primi molari, i secondi molari, i premolari, gli incisivi centrali superiori, quelli laterali e i canini.
Quali cause: La carie riconosce una serie di cause che devono essere tutte presenti per innescare il processo: L’organismo ospite, con i suoi denti; I batteri; Il substrato per i microrganismi (ad esempio, lo zucchero). L’adesione dannosa dei batteri sui denti non avviene se prima lo smalto non ha acquisito un rivestimento organico (“pellicola acquisita”), sul quale i batteri, grazie alla precipitazione delle proteine salivari, formano la placca dentale o “placca batterica”. A seconda della collocazione della placca batterica (sopra o sottogengivale) si avrà l’evoluzione verso la carie o verso la gengivite.
È bene ricordare che la placca può anche mineralizzare e trasformarsi in tartaro.
I fattori che favoriscono lo sviluppo della placca batterica sono l’inadeguata igiene orale e le malposizioni dei denti, in quanto risulta più disagevole lo spazzolamento. Altre condizioni che favoriscono l’attacco dei batteri sono una minore calcificazione dello smalto o una saliva particolarmente densa.
Come si presenta: La carie comincia con maggiore frequenza sulle zone più vulnerabili dei denti: superficie occlusale (faccia masticante dei denti), margine gengivale, superficie interprossimale (fra i denti). Nelle fasi iniziali, la carie, a seguito del processo di demineralizzazione, determinerà un’alterazione del colore dello smalto dal nero al marrone.
A seguito della dissoluzione del tessuto dentale si osserverà un vero e proprio cratere circondato da tessuto dentale dall’aspetto rosa madreperla. Nelle fasi più avanzate di distruzione si assisterà alla frattura di posizioni della corona del dente che prenderà sempre di più l’aspetto anatomico tipico del dente stesso.
Si può anche assistere ad una reazione ipertrofica della polpa del dente che cresce in maniera abnorme riempendo parte della cavità cariosa.
Evoluzione: Inizialmente la carie comincia sulla superficie esterna del dente (smalto).
I batteri presenti nella placca dentale, in presenza di zuccheri, iniziano il processo di demineralizzazione dello smalto attraverso gli acidi prodotti dal loro metabolismo. In questa fase, la carie è asintomatica in quanto lo smalto è un tessuto privo di afferenze nervose.
Il processo carioso invade successivamente la dentina sottostante e generalmente residuano solo delle pareti di smalto non sostenute e quindi molto fragili. Spesso queste pareti si fratturano facilmente sotto il carico masticatorio.
La carie si propaga sempre più vicino alla polpa del dente che inizia ad infiammarsi (pulpite) e ciò determina la comparsa della sintomatologia dolorosa. Questa è evocata da variazioni termiche, cibi dolci o salati e compressione del cibo sul dente. Generalmente il dolore scompare sospendendo lo stimolo. L’intensità del dolore è direttamente proporzionale alla profondità della carie. Se non si interviene terapeuticamente, la carie della dentina avanza e si avvicina alla camera pulpare, determinando la pulpite. La pulpite è quindi un tipico fenomeno infiammatorio determinato dalla liberazione da parte dei batteri di tossine in prossimità della polpa.
Al momento della comunicazione diretta tra cavità cariosa e camera pulpare si verificherà un processo di necrosi. Le sostanze tossiche derivate dal tessuto pulpare necrotico, unitamente alle tossine batteriche, possono fuoriuscire dal forame apicale della radice del dente e venire a contatto con il tessuto osseo. L’organismo reagisce costituendo una barriera all’avanzamento delle tossine, formando un granuloma apicale, che inizialmente è asintomatico, e quindi rilevabile solo radiograficamente.
Se la carica batterica aumenta ancora o diminuiscono le capacità difensive dell’organismo si determinerà l’ascesso periapicale, che invece è molto doloroso e determinerà il tipico gonfiore della faccia.
Problemi associati : Denti necrotici e lesioni periapicali costituiscono un’infezione focale, a causa della possibilità da parte dei batteri o delle loro tossine di entrare in circolo verso un distretto dell’organismo lontano dall’infezione iniziale. Fra le malattie per le quali il meccanismo dell’infezione focale (malattia focale) è spesso chiamato in causa per chiarire l’insorgenza del quadro morboso, le più importanti sono: malattie reumatiche (artriti, poliatriti croniche), malattie dell’apparato urogenitale (nefriti), malattie dell’apparato cardiovascolare (endocarditi), malattie ematiche, malattie oculari (retiniti, congiuntiviti).
Cosa fare : Rivolgersi al proprio odontoiatra di fiducia per eseguire dei controlli semestrali. In base alla propria cariorecettività (ossia la tendenza individuale a cariare i propri denti) valutata dallo specialista, si potranno utilizzare prodotti per l’igiene orale più idonei a proteggere i propri denti e a prevenire l’insorgenza della carie.
Come si previene: Il metodo migliore per prevenire la carie è rinforzare lo smalto dei denti attraverso il fluoro. Il fluoro è un minerale presente in natura, contenuto in numerosi alimenti e nell’acqua. Questo minerale si è dimostrato efficace nel ridurre l’insorgenza della carie del 40%. La Fluoroprofilassi (ossia l’utilizzo del fluoro per prevenire la carie) viene eseguita negli Studi Odontoiatrici e domiciliarmente. Negli Studi si utilizza il fluoro per via topica (generalmente in forma di gel o in soluzione) attraverso delle applicazioni sui denti ripetute nel tempo (generalmente 4 applicazioni ogni due anni). A casa, la Fluoroprofilassi viene distinta a seconda dell’età del soggetto. Nel bambino (dai 3 ai 12 anni), a seconda delle sue abitudini alimentari, può essere somministrato il Fluoro in compresse masticabili (tali compresse devono essere prescritte dal pediatra o dall’odontoiatra).
E’ bene consultare il proprio odontoiatra o il suo igienista dentale, anche se questi prodotti non necessitano di ricetta medica. Non dimentichiamo, però, che è la pellicola acquisita (cioè il cibo sciolto nella saliva) la causa inziale di tutti i problemi, per cui è bene non perdere l’abitudine di lavarsi i denti dopo ogni pasto, attrezzandosi, magari, di uno spazzolino portatile o da viaggio.
da Dott. Marco Sozzi | Nov 29, 2012 | Tutti gli articoli, uncategorized
L’utilizzo dei resti dentali, tra i reperti più “longevi” che arrivano fino a noi dalla preistoria, è spesso decisivo nella scoperta di nuovi elementi che raccontino quale fosse la vita dei nostri antenati.
In una recente ricerca, per esempio, sono stati determinanti per scoprire che gli uomini vissuti nell’Età del ferro in territorio britannico crescevano nella primissima infanzia con un limitato apporto di latte materno: contrariamente a quanto ipotizzato in precedenza, infatti, lo svezzamento iniziava molto presto; queste popolazioni avevano trovato alimenti alternativi e, già prima che si concludesse il primo anno di vita del bambino, il latte veniva affiancato o sostituito da altri tipi di cibo.
“In questo studio si sono analizzati i resti ossei e dentali di 34 bambini di età inferiore a sei anni sepolti a Wetwang Slack, nell’East Yorkshire, un antichissimo cimitero in uso tra il IV e il II secolo avanti Cristo” afferma Mandy Jay, ricercatrice presso il Dipartimento di archeologia della University of Durham, in Gran Bretagna.
“Wetwang Slack è uno dei più grandi luoghi di sepoltura preistorici rinvenuti in Europa, e di conseguenza costituisce un contesto privilegiato in cui, tra i molti resti, è possibile trovare un numero considerevole di bambini, requisito fondamentale per poter ottenere indicazioni utili riguardo all’allattamento allo svezzamento.”
Lo studio, pubblicato dalla rivista “American Journal of Physical Anthropology“, ha utilizzato l’analisi degli isotopi di azoto e di carbonio per capire quale fosse l’alimentazione dei bambini. “Gli isotopi stabili di azoto ‘rispecchiano’ la quantità di proteine assunte in un determinato periodo dell’esistenza: hanno valori identici a quelli della madre durante la gravidanza, aumentano durante l’allattamento per poi ritornare a livelli simili a quelli degli adulti quando il bambino arriva a nutrirsi con i medesimi alimenti; per questo motivo sono uno degli strumenti più adatti a definire la durata dell’allattamento una volta paragonati ai valori della popolazione adulta vissuta nel medesimo periodo, nel nostro caso costituita dai resti di individui adulti ritrovati nel medesimo sito” descrive la ricercatrice.
“Gli isotopi stabili di carbonio, gli altri elementi analizzati nei reperti ossei, costituiscono invece un buon indicatore del periodo dello svezzamento: essi hanno valori stabili e identici per tutti gli individui fino a che i bambini sono nutriti esclusivamente con latte materno, dopodiché la loro presenza decresce fino a raggiungere i valori riscontrabili nella madre o, più in generale, degli adulti del medesimo gruppo.”
Grazie dunque alla concentrazione degli isotopi di carbonio, in grado di indicare l’inizio dello svezzamento, e degli isotopidi azoto, utili per definire la durata dell’allattamento, i ricercatori hanno potuto comprendere che i bambini dell’Età del ferro dovevano rinunciare piuttosto presto, almeno in parte, al latte della mamma: “Né gli isotopi di carbonio né quelli di azoto hanno mostrato infatti il caratteristico ‘arricchimento’ tipico dell’alimentazione esclusiva con latte materno nel corso dei primi dodici mesi di vita: ciò significa che, prima del compimento dell’anno, i bambini erano nutriti in modo significativo con altri alimenti.
Lo studio ha previsto anche il confronto con altre due analisi comparabili condotte su resti ossei di bambini: una ricerca condotta in un luogo di sepoltura di epoca medievale rinvenutoa Wharram Percy, in Gran Bretagna, e una svolta su reperti risalenti al XIX secolo rinvenuti a Prospect Hill, inCanada. “Dalla comparazione con questi due studi è emerso che il periodo dell’allattamento materno come fonte esclusiva di sostentamento era decisamente più limitato nell’Età del ferro rispetto alle epoche successive prese in considerazione” spiega l’archeologa; “entrambi gli studi provano infatti che l’allattamento era protratto ben oltre il primo anno di età del bambino e che, in particolare nell’epoca più vicina ai nostri giorni,l’aggiunta di cibi diversi dal latte materno iniziava con molto ritardo rispetto agli altri esempi presi in considerazione.”
Ma è possibile dallo studio degli isotopi capire anche che cosa mangiavano i bimbi della preistoria, che non potevano nutrirsi a lungo del solo latte materno? “Dalla valutazione della presenza delle proteine nella dieta si può fare un’ipotesi che consideriamo decisamente plausibile: i bambini dell’Età del ferro, perlomeno quelli vissuti nel territorio britannico da noi preso in considerazione, venivano nutriti con latte di animali o con alimenti di origine vegetale ridotti in poltiglia: questi cibi, dai dati di cui disponiamo, erano un’integrazione piuttosto consistente alla dieta della primissima infanzia dei nostri antenati.”