da Dott. Marco Sozzi | Mag 8, 2019 | dentista Milano, Studio Dentistico Dott. Sozzi, Tutti gli articoli, uncategorized
La malattia parodontale è una malattia batterica infiammatoria multifattoriale. Nella parodontite necrotica, lo stress è stato a lungo riconosciuto come uno dei principali fattori di rischio. I soldati di Alessandro Magno soffrivano già di questa patologia, che in seguito colpì i soldati nella prima guerra mondiale, quando era conosciuta come “malattia di trincea”. Gli stadi di attività sono stati descritti nello sviluppo della malattia parodontale. Lo stress è considerato un fattore aggravante a causa di due fenomeni: lo stress genera un cambiamento di comportamento da un lato e una riduzione delle difese immunitarie dall’altro. Molti studi, alcuni molto vecchi, hanno dimostrato che i pazienti con depressione hanno la tendenza a mangiare male, a prendersi meno cura di se stessi e ad aumentare il consumo di tabacco, alcool e farmaci. Sappiamo che la malattia parodontale si stabilizza se i pazienti effettuano quotidianamente una pulizia meticolosa dei denti e degli spazi interdentali. La motivazione interna è ridotta nei pazienti depressi e quindi la negligenza dell’igiene dentale aumenta la quantità di biofilm e ne modifica la composizione. Le carenze nutrizionali sono anche responsabili della diminuzione dell’immunità. L’uso del tabacco è un fattore di rischio riconosciuto per la malattia parodontale. L’accumulo di tutti questi cambiamenti comportamentali aumenta il rischio di sviluppare una parodontite o recidiva.
La dottoressa Michèle Reners, ex presidente di EuroPerio e presidente della Società belga di implantologia orale Michèle Reners, spiega la meccanica dello stress patologico come fattore aggravante della malattia parodontale
da Dott. Marco Sozzi | Feb 21, 2019 | dentista Milano, Studio Dentistico Dott. Sozzi, Tutti gli articoli, uncategorized
Louisville, KY, USA: un nuovo studio ha dimostrato che il batterio Porphyromonas gingivalis, comunemente associato alla problematiche parodontali croniche, produce proteine tossiche chiamate gingipain che hanno un impatto negativo sulla malattia di Alzheimer.
L’articolo spiega in dettaglio in che modo i ricercatori hanno identificato il batterio “Gingivalis Porphyromonas” nel cervello di pazienti con malattia di Alzheimer. Il Dott. Jan Potempa, professore e ricercatore nel Dipartimento di Immunologia orale e Malattie infettive dell’Università di Louisville, fa parte di un team di scienziati internazionali guidati dall’azienda farmaceutica Cortexyme, che sviluppava agenti terapeutici per invertire il corso del morbo di Alzheimer e di altri disturbi degenerativi.
Secondo il Dott. Potempa, sebbene gli agenti infettivi abbiano già avuto un impatto sullo sviluppo e sulla progressione dell’Alzheimer, le prove relative al nesso causale non erano state convincenti. «Ora abbiamo prove evidenti che collegano la patogenesi “P. gingivalis” con l’Alzheimer, ma sono necessarie ulteriori ricerche prima che P. gingivali
s sia esplicitamente coinvolto nella causa o morbilità della malattia» ha spiegato il dott. Potempa. «Un aspetto ancora più notevole di questo studio è il potenziale di una classe di terapie molecolari che prendono di mira i principali fattori di virulenza per alterare la sviluppo dell’Alzheimer, che sembra essere associato epidemiologicamente e clinicamente alla parodontite».
Gli autori di questo studio hanno anche notato che nei topi la gingipain ha portato ad un aumento della proteina beta-amiloide nel cervello. Ne
lle persone con malattia di Alzheimer, questa proteina si accumula nella placca tra le cellule cerebrali e impedisce loro di comunicare correttamente.
Nel tentativo di bloccare la neurotossicità indotta dal P. gingivalis, l’azienda Cortexyme ha sviluppato una serie di terapie basate da piccole molecole specificatamente indirizzate verso la gingipain. Nel corso degli esperimenti preclinici, i ricercatori hanno dimostrato che l’inibizione del composto COR388 porta a una ridotta carica batterica dell’infezione cerebrale stabilita dal batterio P. gingivalis e bloccando la produzione di Aβ42, si riducono le neuroinfiammazione e si protegge i neuroni nell’ippocampo.
Nell’ottobre 2018, Cortexyme ha annunciato i risultati della prima fase della sperimentazione clinica sul COR388 in occasione dell’undicesima Conferenza sull’Alzheimer’s Disease Clinical Trials. Il COR388 ha mostrato tendenze positive in diversi test cognitivi in pazienti con l’Alzheimer e nei piani della Cortexymus c’è la volontà di lanciare una seconda e terza fase di studi clinici nel 2019.
Lo studio intitolato «Porphyromonas gingivalis in Alzheimer’s disease brains: Evidence for disease causation and treatment with small-molecule inhibitors» è stato pubblicato nel numero di gennaio della rivista Science Advance.
da Dott. Marco Sozzi | Nov 17, 2017 | uncategorized
La maggior parte delle donne in gravidanza soffre di problemi di salute orale, ma il 43% di esse non esegue controlli dal dentista.
A rilevarlo è un sondaggio ” Health Smiles For Mom And Baby” che ha studiato le condizioni di salute orali nelle gestanti americane.
I cambiamenti ormonali durante la gravidanza tendono peggiorare le condizioni di salute orale come le gengiviti e la malattia parodontale.
L’indagine mette in evidenza lo stretto legame tra salute orale e benessere generale, prima, durante e dopo la gravidanza. Le infezioni in questo periodo, comprese carie e malattia parodontale, possono incidere sulla salute del bambino.
da Dott. Marco Sozzi | Apr 18, 2013 | Tutti gli articoli, uncategorized
L’aloe vera funziona: i dentifrici che la contengono sono utili per combattere la placca batterica e per migliorare la salute parodontale.
Cosma Capobianco
L’aloe vera funziona: i dentifrici che la contengono sono utili per combattere la placca batterica e per migliorare la salute parodontale. Una delle ultime ricerche a sostegno degli effetti benefici di questa pianta è apparsa sul Journal of Periodontology lo scorso giugno e riguarda una sperimentazione clinica su 90 pazienti con gengivite cronica generalizzata.
Che si tratti di una ricerca di buona qualità e affidabilità è dimostrato dal fatto che il protocollo seguito è di tipo prospettico, randomizzato e con un gruppo placebo. I pazienti sono stati casualmente divisi in tre gruppi: il primo usava un dentifricio placebo, il secondo usava quello con aloe vera e il terzo usava un dentifricio con fluoro e triclosan (un antibatterico di sintesi industriale). La valutazione clinica si è basata su elementi oggettivi (indice di placca, indice gengivale, conta batterica (rilevati all’inizio, a 6, 12 e 24 settimane) sia su una valutazione soggettiva dei pazienti mediante un questionario. I risultati del prodotto con aloe vera si sono dimostrati significativamente migliori rispetto al placebo e paragonabili a quelli del dentifricio con triclosan per quanto riguarda i parametri oggettivi. L’articolo di Pradeep promuove definitivamente l’aloe al ruolo di presidio efficace contro placca e gengiviti, eliminando i dubbi presenti fino a pochi anni fa.
L’aloe vera è nota fin dall’antichità per le sue proprietà benefiche di tipo antiflogistico; la ricerca moderna ha isolato dal suo estratto una serie di composti antrachinonici con azione antibatterica e antiflogistica, dei quali si è sperimentato l’effetto anche su altri disturbi orali come il lichen planus. L’aloe non è l’unica pianta alla quale si sono rivolte le attenzioni della ricerca: ci sono, infatti, almeno altre tre piante, Centella asiatica, Echinacea purpurea e Sambucus nigra (il sambuco, molto diffuso anche in Italia) sulle quali si dispone già di promettenti dati scientifici e clinici. La Centella asiatica è già stata sperimentata in forma di collutorio dando buoni risultati mentre Echinacea purpurea e Sambucus nigra hanno fornito risultati interessanti sotto forma di dischetti adesivi (patch) da applicare sulle gengive.
da Dott. Marco Sozzi | Apr 3, 2013 | Tutti gli articoli
Gli oli alimentari potrebbero essere utili nella prevenzione orale grazie alle loro proprietà bioadesive e idrofobe. Negli ultimi decenni si è posta sempre maggiore attenzione alla prevenzione e all’igiene orale ma, ciò nonostante, la carie e, soprattutto, le malattie parodontali rimangono ancora due sfide aperte.
Da questo punto di vista i lipidi potrebbero dare un aiuto prezioso impedendo l’adesione dei batteri sui tessuti orali e proteggendo i tessuti duri dall’attacco degli acidi. A livello sperimentale esistono già numerose conferme anche in vivo: per esempio, i materiali dentali con superficie idrofoba riducono la formazione del biofilm batterico. Un dato che ha messo in risalto anche la necessità di studiare di più i lipidi salivari, perché potrebbero giocare un ruolo importante nella predisposizione individuale alle più comuni patologie orali. La stessa necessità esiste anche sulla funzione svolta dai lipidi all’interno della pellicola che si deposita sulle superfici orali. Tra i dati sperimentali finora acquisiti uno dei più importanti riguarda la capacità di alcuni acidi grassi di inibire l’adesione batterica allo smalto e la correlazione tra contenuto lipidico della dieta e la composizione degli acidi grassi dello smalto. Sempre a livello sperimentale si è visto in un modello animale che con l’aggiunta di olio di arachidi a una dieta cariogenica si riduce l’incidenza di carie. Molto interessante è anche la capacità del comune olio di oliva di proteggere lo smalto dall’erosione; questa è stata dimostrata in vitro su denti estratti e ha rivelato una cosa interessante: l’emulsione di olio di oliva al 2% protegge i denti ma non l’olio di oliva puro. A corollario di questo dato c’è il risultato di un’altra ricerca in cui l’estrazione dei lipidi dallo smalto aumenta l’effetto erosivo di una soluzione sperimentale. I meccanismi alla base di questi effetti positivi sono ancora tutti da scoprire; al momento ci sono alcune ipotesi tra cui quella della saponificazione. In pratica, l’idrolisi alcalina dei lipidi potrebbe spiegarne l’effetto protettivo. A fronte dei dati sperimentali c’è purtroppo la scarsità di dati clinici e qualche dato contraddittorio derivante dai pochi studi in vivo; non è ancora chiaro, per esempio, se gli oli si integrino nella pellicola che ricopre i tessuti orali o se vi aderiscano superficialmente. Nel frattempo, continua invece senza sosta la ricerca clinica sugli effetti protettivi degli oli essenziali con le origini più svariate: da quello di limone a quello di Nigella sativa (antiflogistico) per arrivare alla Copaifera officinalis (antibatterico).